lunedì 30 maggio 2011

madre e figlia

Che io non sia un inquieto fantasma

Che segua ossessivo l’andare dei tuoi passi.

Al di là del punto in cui mi hai lasciata,

ferma in piedi sull’erba appena spuntata,

tu devi essere libera di prendere un sentiero
la cui fine io non senta il bisogno di conoscere
né la febbre affliggente di essere sicura
che sei andata dove io volevo andassi.

Quelli che lo fanno cingono il futuro

fra due muri di ben disposte pietre,

ma segnano un cammino spettrale,
un arido cammino per ossa polverose.

Dunque tu puoi andare senza rammarico

Lontano da questo paese familiare,
lasciando un tuo bacio sui miei capelli
e tutto il futuro nelle tue mani.

da L'inverno delle more, Margaret Mead alla figlia Cathy




Mi ha colpito molto questa poesia, quando l'ho letta la prima volta, appuntata sulla bacheca di uno studio medico. Mi ha ricordato dei versi di Gibran da " Il profeta " e mi ha fatto riflettere e ricordare che i nostri figli non sono noi e neanche le nostre proiezioni . .ma qualcosa di più e di diverso . .

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